Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Una salsa da viaggio

Piatti conquistatori: la senape

Non riesco a immaginarmi un mondo senza senape: un hot dog a Central Park, un perro caliente allo Zocalo di Città del Messico, un Frankfurterwurstel nella piazza della cattedrale di Salisburgo o una boulette a Berlino sono stati piccoli momenti di grandi viaggi, che meritano di essere ricordati. Tutti conditi dal gusto forte e generoso della senape.

Poi un giorno ho deciso di andare nella patria della senape, o almeno di quella francese: sono andato a Digione. Lì, nella città capoluogo della Borgogna, non ho potuto esimermi di entrare in “quel” negozio. Mi è sembrato di essere dentro ad una gioielleria: i barattoli disposti singolarmente, o a piccoli gruppi, su mensole sapientemente illuminate in un locale piuttosto buio, il vestito e lo chignon della commessa che sembravano usciti dalla penna delle sorelle Bronte, il legno scuro e pregiato delle bacheche. È entrata una signora in tailleur, ha ordinato tre piccole confezioni, ha conversato un poco con la commessa, ha pagato con la Visa oro e se ne è andata. Forse ne avrei ricavato la stessa sensazione se mi fossi trovato da Tiffany sulla Quinta Avenue…

Ma lì, a Digione, la ambrata salsa che ha conquistato il mondo non si chiama “senape”: i cugini d’Oltralpe amano chiamare “moutarde”, quella che per gli inglesi è “mustard”, per gli ispanici “mostaza”, mostarda per i portoghesi e mustàrmag per gli ungheresi; per noi italiani è senape, per i tedeschi ed i croati è “senf”, così come è “senap” in svedese e “sinappi” in finlandese.

Quest’ultima radice linguistica si ritrova nel nome della pianta che da cui è ottenuta la salsa: la senape è fatta con i semi della senape bianca (Sinapis alba), spesso integrati da quelli della senape nera (Brassica nigra o Rhamphospermum nigrum). Si tratta di Crucifere abbastanza simili fra loro, ed entrambe di origine europea: ritroviamo la prima, più pregiata e dai semi più grandi, in Europa, in Asia occidentale e sulle sponde mediterranee dell’Africa; la seconda, che si naturalizza più facilmente, ha una origine più vasta, crescendo in Natura anche in Asia centrale e in Cina (si tratta di coltura molto antica, stando ai reperti archeologici). Esiste anche una senape bruna, la Brassica juncea, che però di solito non rientra nella preparazione delle senapi continentali europee: viene comunque usata in India e Pakistan, ed ovviamente in Gran Bretagna, dove sono approdate spesso ricette dalle colonie dell’Impero (chutney, curry, lemon card…). Anche in Giappone si prepara una senape, detta karashi: si usano tutte e tre le specie, ed è particolarmente piccante.

In tutti i casi, la preparazione della senape è piuttosto semplice ed è sempre la stessa: si polverizzano i semi della pianta mescolandoli con altri ingredienti, fino ad ottenere una salsa cremosa. In quella detta “all’antica”, una parte dei semi resta intera. Di solito, nella senape francese, si usa l’aceto, ma se si trova è meglio usare l’agresto, il succo di uva raccolta immatura, che andava molto “di moda” nel Rinascimento. Il grado di piccantezza può essere dosato rimuovendo parzialmente la “buccia” del seme, dato che proprio nel tegumento si trova la maggior parte delle sostanze aromatizzanti, l’alcaloide sinapina e il glucoside sinigrina.

La senape si può anche aromatizzare: fra le senapi che finora ho assaggiato merita un posto d’onore una senape verde al dragoncello (Artemisia dracunculus), seguita a ruota da quella al miele. Comunque sia, in ogni posto dove vado, e dove si produce la senape, un barattolino torna in valigia con me.

 

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