Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Sognando di essere come Umpa-pah (2)

Cucine etnografiche: la dieta dei Nativi Americani (seconda parte)

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Al genere Prunus appartiene il pruno o Prunus domestica, di origine eurasiatica, il cui successo in terra californiana è noto in tutto il mondo grazie al suo prodotto essiccato, ma molti Prunus autoctoni venivano apprezzati dalle tribù native in tutto il Nordamerica, ed alcuni erano anche oggetto di cure colturali: è il caso del Prunus angustifolia, coltivato dagli Indiani Chickasaw (alto bacino del Mississippi, fra Tennessee e Oklahoma): le sue susine venivano mangiate fresche o conservate in gelatine. Lo stesso destino veniva riservato alle susine del Prunus serotina, che anzi destò l’attenzione degli Atzechi (ottimi agricoltori) al punto da venir messo ampiamente in coltura in Messico e commercializzato con il nome locale di “capulin”.

Il susino più significativo nella dieta dei Nordamericani prima di Colombo è forse quello che ci giunge dal Prunus americana (regioni centrali e orientali di Canada e USA); i suoi frutti, più grandi degli altri, hanno una buccia dura e acida, ma la polpa è dolce e carnosa, ottima da fresca, e ancor più in torte e marmellate.

Vicino al genere Prunus è il genere Sorbus: ad esso appartiene Sorbus americana, il cui frutto, fresco o secco, è ricco di ferro e di vitamina C. Vive nel settore nord-est del Continente.

Altra famiglia di appartenenza rispetto ai Prunus è quella del Morus rubra, il gelso rosso: di questa Moracea i Nativi che popolavano gli Appalachi usavano sia il legno per gli oggetti, sia le foglie per i tessuti, sia i frutti, succosi, mangiati freschi, spremuti per bevande, o disidratati per finire appunto nel pemmican. Come si fa anche adesso.

Succosi sono anche i frutti rossi a grappolo del Cornus canadensis, il corniolo del Canada, oggi forse meno apprezzati di un tempo, ma certamente ricercati dai primi abitanti delle regioni settentrionali.

Una bacca fondamentale nella alimentazione dei Nativi, e obbligatoria nella preparazione di ogni pemmican che si rispetti, è la bacca “Saskatoon”. Saskatoon è una città del Canada situata al centro della provincia di Saskatchewan; proprio dal nome in lingua Cree della bacca della Rosacea Amelanchier alnifolia, ossia “misâskwatômina”, derivano i nomi della città, della regione e del fiume che la attraversa. Intere generazioni si esercitarono nella pratica della raccolta di tali preziose bacche, ben prima dello sbarco di Colombo. Minor interesse suscitavano i frutti dei biancospini indigeni (Crataegus aestivalis, Crataegus mollis, Crataegus succulenta).

Viceversa, massima attenzione era dedicata alle bacche dei mirtilli, primo fra tutti il Vaccinium macrocarpon, cioè l’ossicocco o mirtillo rosso americano: le sue bacche sono decisamente più grosse delle specie congeneri, come indica il nome specifico “macrocarpon”, che sta appunto per “grosso frutto”. Oggi, la coltura intensiva dell’ossicocco ha fatto sì che il frutto di questa copiosa Ericacea sia giunto da noi in molti prodotti (merendine, biscotti, bevande); anche la sua denominazione di “mirtillo rosso” non sarebbe del tutto corretta.

Sempre collocato fra le Ericacee è il genere Gaultheria, con le specie Gaultheria shallon e Gaultheria procumbens. La prima è un arbusto, detto salal, che produce bacche simili anche nel gusto a quelle del mirtillo: è molto abbondante nel sottobosco e nelle brughiere lungo le Montagne rocciose settentrionali, dalla California all’Alaska; una ricetta tipica, propria delle festività, prevede di mescolarle insieme alle uova di salmone. L’altra specie è la Gaultheria procumbens, che per i Nativi contempla un uso non solo delle bacche (molto apprezzate e vendute ancora oggi sul mercato di Boston), ma anche delle foglie: dalle sue foglie aromatiche e ricche in olio si ottiene infatti il famoso the del Canada, che possiamo considerare la bevanda tipica degli Indiani del Maine, del Quebec e delle aree circostanti.

Fra i rovi (gen. Rubus) voglio citare tre specie. Il primo è senza dubbio il Rubus nutkanus (sinonimo di Rubus parviflorus), le cui “more” gli indigeni Americani hanno sempre usato come cibo, ma anche per le proprietà medicinali (sono ricche in vitamina C); la specie si incontra diffusamente negli Stati del Nord-Ovest. Il secondo è il Rubus spectabilis, più o meno rintracciabile nelle stesse zone; oltre alle more, dal gusto acido, di questa specie i Nativi usano mangiare anche i giovani germogli. Il terzo è il Rubus argutus, dalle more ancora oggi apprezzate dalle tribù Cherokee stanziate ad est del Mississippi.

Fra i frutti di bosco, non possiamo omettere la fragola della Virginia (Fragaria virginiana), se non altro perché si trova sulla linea genetica che ha portato ai fragoloni (Fragaria x ananassa), così comuni sulle tavole di tutto il mondo.

Le attenzioni colturali degli Europei sono state dirette verso molte specie del genere Vitis, spontanee ovunque in Nordamerica, e di cui si nutrivano saltuariamente gli Americani nativi: Vitis berlandieri, Vitis aestivalis, Vitis labrusca, Vitis monticola, Vitis rupestris, Vitis vulpina. Perché questa attenzione? Perché, un po’ più di un secolo fa, c’era da salvare la vite europea, Vitis vinifera, dall’attacco mortale della fillossera, l’insetto omottero Daktulosphaira vitifoliae. Oggi, con l’innesto su cultivars derivanti da più di una di queste specie nordamericane, possiamo continuare a bere vino, in Europa come altrove…

(fine seconda parte)

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