Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Sognando di essere come Umpa-pah (1)

Cucine etnografiche: la dieta dei Nativi Americani (prima parte)

Sulle pagine del Corriere dei Piccoli, che qualcuno fra voi che mi leggete si ricorda ancora, le storie a fumetti di Umpa-pah motivavano la forza del protagonista, un pellirossa grosso e forte, dall’animo buono, come determinata dal suo insaziabile appetito verso il pemmican. Albert Uderzo e René Goscinny, gli autori francesi del fumetto (gli stessi di Asterix), erano piuttosto reticenti sugli ingredienti del pemmican; a volte sembrava trattarsi di carne secca, a volte ricordava il porridge inglese nel tipo di preparazione, e a volte mostrava chiari riferimenti all’impiego di frutta secca e disidratata. In effetti il pemmican, che esiste davvero, rappresenta un po’ la sintesi di quanto potevano trovare nel loro nomadismo i popoli del Nordamerica: carne di cacciagione (bisonte, cervo, renna e alce, ma anche oca e persino salmone), frutta secca e ridotta in polvere (vedremo di quali specie botaniche), il tutto amalgamato con grasso animale e confezionato sotto forma di polpette, capaci di conservarsi a lungo. Una variante del pemmican presso i Dakota prevedeva la farina di mais. Le porzioni di pemmican erano così nutrienti che vennero usate dai Bianchi nelle prime esplorazioni dell’Artico, fra Ottocento e Novecento.

Fin qui, il pemmican, ma è certamente riduttivo limitare a una solo ricetta, come è impossibile compendiare in un solo brano, la dieta degli Americani nativi: quei popoli si muovevano attraverso un continente molto diversificato negli ambienti, e quindi nelle risorse alimentari, dai deserti del Sudovest alle foreste degli Appalachi, dalle praterie centrali del Midwest alle paludi della Florida e della Louisiana. In più quasi tutti i gruppi erano – e sono rimasti fino all’arrivo sconvolgente dei Bianchi – ancorati alle tradizioni nomadi, che ne facevano esperti cacciatori verso le specie animali e attenti raccoglitori di moltissime specie vegetali commestibili. Poche erano le piante coltivate, e sempre annuali, direi quasi stagionali: dalla semina alla raccolta non poteva passare più di qualche mese, prima del successivo spostamento.

Sarebbe dunque più opportuno non “fare di ogni erba un fascio”, ed approfondire per ciascuna delle tribù le abitudini proprie che la Storia ci ha consegnato. Mi limiterò invece, un po’ rozzamente, a descrivere il contributo di qualche specie commestibile, che in parte è sopravvissuta in alcune ricette attuali, in parte, pur avendo giocato un ruolo preminente nella dieta dei pellerossa, è oggi scomparsa dalle tradizioni gastronomiche nordamericane. Sono specie, queste ultime, che in genere non hanno retto all’arrivo delle monocolture come il mais, il frumento, l’orzo, la canna da zucchero, la colza; di ortaggi come le patate, i cavoli, le carote, i pomodori, i peperoni, le arachidi; di frutti come le mele, le pere, le pesche, le ciliegie, le susine, la stessa uva.

Sia che provengano da altre regioni americane, sia che giungano soprattutto dal Vecchio Continente, queste nuove specie introdotte dai colonizzatori sono oggi diffusissime nel paesaggio agricolo di Canada e Stati Uniti, ed hanno sostituito le piante un tempo note ed apprezzate dalle tribù native, che le raccoglievano e spesso conservavano per far fronte alla stagione avversa.

Iniziamo la nostra esposizione con i semi di tipo oleoso, nutrienti e facili da trasportare: vengono tutti da alberi, quindi i nostri raccoglitori le andavano a cercare nelle estese foreste che ricoprivano gran parte del Canada e le zone montuose degli Appalachi, le basse pianure orientali del bacino del Mississippi ed il settore costiero delle Montagne Rocciose.

Il pecan, Carya illinoinensis, vive nel settore centro-orientale e meridionale, e sconfina in Messico. La sua noce, gustosa e nutriente, compare a tutt’oggi in molte ricette nordamericane (vedi le “praline” di New Orleans), e sta iniziando a farsi vedere anche da noi.

Il noce nero, Juglans nigra, ha un seme usato alla stregua delle nostre noci eurasiatiche, anche se è un po’ meno pregiata: conosciuta e ricercata dai Nativi, oggi finisce in molti prodotti di pasticceria, dai biscotti alle creme alle torte.

Il Pinus edulis è noto come pino del Colorado; siamo nel cuore delle Montagne Rocciose meridionali, quasi desertiche. I suoi pinoli venivano mangiati e addirittura commercializzati dai Nativi Americani. In molte aree, il diritto di raccolta dei pinoli è tuttora prerogativa delle tribù locali, per i quali la specie è di notevole importanza non solo economica, ma anche culturale.

In questo elenco, hanno ragione di comparire anche due specie di castagno americano: la Castanea dentata ci regala il frutto secco (farinoso) più importante nella dieta delle tribù indiane di tutta la fascia orientale del Continente. Rispetto ai frutti della Castanea dentata, quelli del Castanea pumila, o chinquapin, sono più piccoli e maturano prima. Fresche o tostate, le chinquapin sono eccellenti da mangiare, e da sempre hanno costituito un alimento importante per i popoli nativi della parte orientale degli Stati Uniti; le chinquapin sono state subito scoperte e adottate dai primi coloni europei già nel 1500.

I kaki della Virginia (Diospyros virginiana) sono curati in Nordamerica sin da tempi preistorici, e lo sono tuttora. Pur avendo un gusto un poco asprigno, specialmente se non del tutto maturi (nel qual caso hanno forti proprietà astringenti), i frutti sono gradevoli al palato, e sono ricchi in vitamina C. Oggi come un tempo, si mangiano freschi, cotti ed essiccati.

(fine prima parte)

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