Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Un credo vegetariano che funziona (2)

Cucine nel mondo: la cucina indiana del Sud (seconda parte)

(vai alla prima parte)

In una logica strettamente vegetariana, nella cucina dell’India meridionale trionfano ovviamente gli ortaggi. Per motivi climatici, essi si differenziano da quelli dell’India del Nord, e si avvicinano a quelli di Indocina ed Indonesia. La stessa cosa si può dire per i frutti. È impossibile fare un elenco esaustivo della verdura e della frutta che si può gustare su quelle tavole: mi limiterò perciò alle specie che provengono proprio da quella zona. Cito ad esempio l’igname indiano Dioscorea oppositifolia, il patole Trichosanthes dioica, lo spinacio del Malabar Basella alba, la luffa Luffa aegyptiaca, il cetriolo amaro Momordica charantia, e soprattutto il cetriolo che bene conosciamo, il Cucumis sativus, un regalo che l’India del Sud ha fatto in pratica a tutto il resto del mondo.

Insieme agli “esotici” frutti di importazione più o meno recente, che ci immergono nell’atmosfera tipica dei Tropici (banane, ananas, cocchi), vengono da qui il tamarindo del Malabar Garcinia gummi-gutta, il kokum Garcinia indica, il jackfruit Artocarpus heterophyllus, la karanda Carissa carandas, la ketembilla Dovyalis hebecarpa, il giuggiolo indiano Ziziphus mauritiana. Come potete immaginare, una passeggiata nei mercati ortofrutticoli di Mysore, Bangalore e Chennai è una esperienza da non perdere, ma ancor di più lo è quella di entrare in uno dei botteghini sulla strada, dove ti preparano là per là deliziosi succhi di frutta fresca miscelati con ghiaccio: uva, angurie, ananas, banane, melograni, noci di cocco, aranci, manghi e chi più ne ha più ne metta.

E siamo sulla costa delle spezie, non possiamo non parlarne: se volessimo individuare il posto dove l’umanità ha imparato a condire con le spezie, diremmo proprio l’India del Sud. Per esperienza diretta, ho provato comunque che la spezia più spesso usata dai cuochi indiani non è il pepe (il re delle spezie, il Piper nigrum), che pure è originario della costa del Malabar, bensì il sudamericano peperoncino (Capsicum annuum): il suo impiego è giustificato anche - forse troppo, a giudicare dalla piccantezza di certi piatti - dalla capacità di questa Solanacea di bloccare la decomposizione dei cibi e di distruggere i batteri in circolazione (compreso quelli che avete in bocca). In sintesi: la cucina dell’India meridionale è una delle più piccanti del mondo, paragonabile almeno a quella del Sichuan, nella Cina occidentale.

L’apoteosi del “condire con le spezie” nel mondo ha senza dubbio una matrice indiana, ed è il curry: “curry” è la parola inglese che si è diffusa ovunque, derivante dal termine “cari” in lingua Tamil (in lingua Hindi si usa invece “masala”). Non c’è un curry uguale all’altro, anche perché ogni famiglia indiana preferisce farsi il suo curry anziché comprarlo: in questa famosissima miscela rientrano più o meno regolarmente curcuma, cannella, cumino, cardamomo, coriandolo, pepe nero, noce moscata, peperoncino, zenzero, chiodi di garofano, ma ci si mette un po’ quello che si ha sotto mano.

Per finire il nostro pasto, non possiamo parlare di liquori digestivi: oltre al loro credo vegetariano, gli Indiani del Sud professano un credo religioso che vieta l’uso di alcolici. Sulle loro tavole si beve acqua, ma spesso, soprattutto fuori del pasto, si beve the e caffè; non fanno un buon caffè per i nostri gusti (da Italiani soprattutto); viceversa il loro the è magnifico, e viene aromatizzato in moltissime maniere. Il the migliore, di cui vanno giustamente orgogliosi, viene coltivato sui “monti azzurri”, le colline del Nilgiri, i rilevi alti fino a 2000 m a ridosso del Kerala, la costa delle spezie.

Ultime cucine visitate