Il Dactylopius coccus è un piccolo insetto, che - sono quasi sicuro - non avete mai sentito nominare. Appartiene al gruppo degli Emitteri, e presenta uno spiccato dimorfismo sessuale: il maschio è minuscolo e dotato di grandi ali e antenne; la femmina, più grande e senza ali, ha un apparato boccale pungente detto rostro, e vive da parassita, fissata sulle articolazioni a spatola di una specie di fico d’India, l’Opuntia cochenillifera, da cui succhia la linfa. È dalla femmina di questo insetto, la cocciniglia messicana, che si ricava uno dei coloranti di maggiore successo nella storia delle tinture, appunto il rosso cocciniglia.
Gli Atzechi, e in seguito gli indigeni messicani sotto il dominio spagnolo, staccavano dalla pianta la femmina della cocciniglia con dei raschietti, effettuando tre raccolte l’anno; il dispendio di manodopera era enorme, ma veniva ripagato dalla qualità del colorante, fino a 10 volte superiore a quello del kermes mediterraneo, ottenuto dalle cocciniglie che crescono sulla quercia spinosa, la Quercus coccifera.
Per quasi tre secoli, gli Spagnoli detennero il monopolio dell’importazione del colorante di Opuntia in Europa, favorendo le industrie tessili fiamminghe ed emanando severe leggi per tutelare il prodotto. Mentre in Italia ebbe scarso successo, il colorante fece fortuna in Francia, dove divenne noto col nome di "scarlatto Gobelin". Seguendo il destino di altri coloranti naturali, dalla seconda metà dell’Ottocento anch’esso venne soppiantato dai coloranti sintetici.