Da nessuna parte mi risulta che sia mai stata avviata la coltivazione del finocchio marino, l’Ombrellifera nota col nome botanico di Crithmum maritimum. Eppure questa specie che, come suggerisce il nome, ama la vicinanza del mare, ha notevoli proprietà terapeutiche, ed è interessante anche – come adesso vi dirò - sotto il profilo gastronomico.
Non stupisce dunque che i botanici identifichino la vegetazione più vicina al mare unendo nel critmo-staticeto il nome di due specie: il finocchio marino appunto, e la statice (le piante del genere Limonium).
Dopo di che vi dico che il finocchio marino è buono e fa bene: in tutte le sue parti contiene sali di potassio, pectine, vitamine A, B2, C, oli essenziali. La parte aerea si raccoglie fra maggio e luglio; le foglie in particolare, una volta lessate, funzionano come diuretiche, depurative e vitaminizzanti. I frutti vanno presi frutti in agosto e in settembre; stimolano l’appetito e favoriscono la digestione, per cui sarebbe interessante un loro maggiore impiego alimentare, ad esempio in salse, condimenti e minestre. O sbaglio?
Nota a posteriori. Invece no: mi è giunta voce che ci sia chi il finocchio marino lo coltiva e lo commercializza, e fa bene, viste le sue ottime doti organolettiche e medicinali. Si tratta di una azienda posta nel Parco Regionale del Conero, la Rinci (www.rinci.it): con il “paccasassi”, il nome in dialetto marchigiano del finocchio marino, Claudia Gonnelli mi segnala che fanno “sia un tradizionale sott’olio, sia una serie di salse abbinandoli alla maionese vegana, la senape, facendoli diventare pesto e salsa”. Direi che è una bella notizia.