Devo trovare il modo di dissuadere i miei amici e conoscenti dal raccogliere indiscriminatamente i nuovi getti dell’Asparagus acutifolius: è vero che non uccidi la pianta, come succede quando raccogli un esemplare con tanto di radice (genziana gialla, arnica, lampascione), ma è anche vero che ne limiti alquanto le possibilità di propagazione. Da quegli splendidi germogli, così buoni ed apprezzati nei risotti, nelle minestre e nelle frittate, non nasceranno più nuovi rami, che fioriranno e fruttificheranno, propagando così la specie. Ma la tentazione è forte…
L’asparago selvatico si presenta sotto forma di arbusto dall’aspetto disordinato lianoso, con fusti a base legnosa. Le foglie sono sostituite da cladodi (ramificazioni terminali) e ridotte ad aghi, di consistenza rigida, pungenti, in genere riunite a fascetti. I nuovi getti primaverili (scientificamente detti “turioni”), allungati, di consistenza erbacea e dal portamento scandente, non sono ancora provvisti di cladodi pungenti. I fiori bianco verdastri, minuti e poco osservabili, sono disposti a grappoli da cui si generano bacche sferiche lucide e verdi, tendenti al nero a maturità, di piccole dimensioni.
I turioni dell’asparago selvatico sono commestibili esattamente come quelli dell’altra Asparagacea, l’Asparagus officinalis o l’asparago coltivato, e ne ricalcano l’inconfondibile sapore: come si è detto, sono dunque molto ricercati per varie preparazioni gastronomiche. Inoltre, hanno effetti diuretici, depurativi, lassativi e dimagranti. Contengono amminoacidi (fra tutti ovviamente la asparagina) e molti sali minerali. L’uso eccessivo non è però consigliabile a chi soffre di infiammazioni renali.