La sughera dell’Amur, e cioè il Phellodendron amurense, ha questo nome per due motivi: il primo è che vive allo stato spontaneo proprio nella zona dell’Amur, l’importante fiume che fa da confine, per buona parte del suo corso, fra Cina e Russia, segnatamante fra le Province della Manciuria e gli Stati della Siberia orientale.
Il secondo motivo è dato dalla sua spessa corteccia, che come nella nostra sughera (Quercus suber) è di consistenza quasi spugnosa, bruno dorata da giovane, e poi tendente al grigio. Appena prelevata, la corteccia mostra un legno sottostante di un tipico color giallo vivo e luminoso.
Il suo legno è forte e resistente, ed è apprezzato in falegnameria, ma non è perciò che questa specie viene oggi diffusamente coltivata in Manciuria (soprattutto nella Provincia di Heilongjiang) e neppure per i suoi frutti, pur essendo parente di aranci e limoni (è una Rutacea). Chi si interessa di medicina tradizionale cinese conosce invece bene la sughera dell’Amur: fra le 50 erbe fondamentali di quella millenaria disciplina c’è lo huàng bò, o huang bai, proprio la corteccia del Phellodendron amurense (a volte si usa anche il congenere Phellodendron chinense, diffuso in buona parte della Cina centrale). La corteccia va raccolta nel mese di aprile, rigorosamente dopo la festa del Qingming, tagliaia a listarelle e seccata al sole.
Grazie all’alto contenuto di berberina, un alcaloide presente anche nel crespino (Berberis vulgaris), ha poteri antibatterici ed antivirali: funziona bene dunque nelle affezioni urinarie e gastrointestinali, come disinfettante della pelle e delle mucose vaginali. Il complesso dei suoi principi attivi ne fa un buon febbrifugo, un epatoprotettore (contro la cirrosi), un tonico e un ricostituente; sembra che abbassi la glicemia in caso di diabete.