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JOJOBA: Passaporto sbagliato

Secondo le norme internazionali, il nome di una specie botanica deve essere quello assegnatole dal primo Autore che ha classificato e descritto in modo appropriato ed esaustivo quella pianta. Tale regola, sacrosanta, si basa dunque su un principio di priorità cronologica. Eppure tale principio ha causato qualche paradosso. Prendiamo il caso della jojoba: nonostante il nome scientifico (Simmondsia chinensis), la jojoba non ha alcuna relazione con la Cina. Tale denominazione fu dovuta ad un errore di trascrizione; il botanico tedesco Johann Heinrich Friedrich Link, 1767-1851, revisionando la collezione del suo collega Thomas Nuttall, 1786-1859, un inglese che da anni studiava la flora d’America, lesse China anziché Calif., (abbreviazione di California). Accortosi dell’errore, diversi anni dopo il mondo botanico tentò di operare una ridenominazione in Simmondsia californica, ma sarebbe andato contro le sue stesse regole, e così sul passaporto della jojoba restò il nome scorretto.

La jojoba, che è una Simmondsiacea, è un arbusto legnoso, longevo, che vive appunto nelle aree subdesertiche fra California, Arizona e Messico nord-occidentale (Baja Norte, Sonora); di norma si attesta sui due metri di altezza, ma in condizioni di suolo povero mantiene una forma prostrata sui 60-80 cm; viceversa, se il suolo è ricco e profondo, si sviluppa in un vero e proprio albero, eretto, alto 6-8 m ed oltre. Ha un denso fogliame coriaceo costituito da foglie persistenti ed opposte, ovali, 1,5-2 cm di larghezza, 2-4 cm di lunghezza, di colore verde azzurro, coperte da una patina cerosa. La pianta è di solito dioica, quindi con i fiori maschili e femminili su piante diverse; le piante monoiche portanti fiori di entrambi i sessi sono molto rare. I fiori sono molto piccoli, bianco-giallastri e con 5-6 sepali e senza petali; i fiori maschili producono quantità notevolissime di polline (fino ad un kg per pianta). I fiori femminili danno in seguito capsule ovali, contenenti 1-3 semi ciascuna, parzialmente protette da guaine costituite dai residui dei sepali.

La jojoba non ha gran che valore come alimento, a parte per certa fauna selvatica, ma sta assumendo crescente importanza per l’olio ricavato dai semi, fatti per oltre la metà da un liquido ceroso. L’olio di jojoba somiglia molto di più alle sostanze grasse di origine animale, come lo “spermaceti” (l’olio di capodoglio) e lo stesso sebo umano, che a quelle di origine vegetale: per questa ragione si rende utile nella preparazione di cosmetici e di prodotti dermatologici in genere, e di oli lubrificanti; viene comunemente miscelato quale vettore di profumi. Inoltre si raffina facilmente, è inodore e in pratica non si ossida mai.

Proprio nella zona di Sonora, sua terra di origine, la jojoba è oggi seconda per importanza economica solo alle palme da olio del genere Washingtonia; in più la sua coltura in espansione rappresenta un presidio contro la desertificazione, cosa che in quegli ambienti non guasta. Oggi se ne ipotizza anche un futuro uso intensivo nella produzione di carburanti (biodiesel). Un futuro che certamente non immaginavano i nativi delle tribù dei Pima, gli antichi abitatori di quel deserto, che se ne servivano per preparare specifici unguenti contro le scottature: oggi i loro discendenti li possono comprare, già pronti e dosati, direttamente in farmacia. Anche questo si chiama progresso.

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