Uno dei primi lavori della mia carriera consistette nel descrivere i valori naturalistici di un itinerario nell’entroterra genovese, all’interno del Parco del Beigua; qui, con una certa sorpresa, ci trovammo a segnalare un sorbo montano di eccezionali dimensioni: rispetto ai tanti esemplari dal portamento arbustivo che si incontrano qua e là, questo era un vero albero, un gigante solitario alto una dozzina di metri, isolato sul dosso di una collina.
La sua corteccia da giovane è liscia e grigiastra, poi diventa più spessa e rosso-bruna, a screpolature longitudinali. Le foglie sono semplici, ovoidali, piuttosto grandi, a margine doppiamente seghettato, con la pagina inferiore ricoperta da una caratteristica peluria bianca. I fiori, a cinque petali biancastri, sono riuniti in infiorescenze a ombrella composta. Il frutto è un pomo di circa 1 cm, di colore rosso o arancione scuro a maturità. La sua polpa è farinosa e insipida.
I frutti del sorbo montano, ricchi di tannino, acido citrico e malico, sono talvolta impiegati per preparare marmellate, sciroppi e decotti utili contro le affezioni bronchiali ed intestinali (risulterebbero efficaci contro le dissenterie acute); raramente è stata usata nel passato la corteccia essiccata dei giovani rami come febbrifuga ed astringente intestinale. Il legno rosso-bruno è duro e compatto e si adoperava un tempo per piccoli lavori artigianali.