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TASSO: L'albero della morte

Un mio vecchio professore che se ne intendeva di botanica non si spiegava perché in molti giardini pubblici, frequentati dai bambini, il Comune mettesse così tante specie velenose: l’oleandro, il lauroceraso, il pittosforo, il tasso. Quest’ultimo, poi, tanto per chiarirne la pericolosità, è chiamato anche “albero della morte”. Le foglie ed i semi del Taxus baccata contengono infatti una sostanza tossica, la taxina, un alcaloide diterpenico che determina difficoltà respiratorie, problemi cardiaci, tremori, nausea, vomito e, in forti dosi, può portare al coma ed alla morte.

Il tasso, famiglia Taxaceae, è spontaneo in gran parte dell’Europa, dove vegeta in ambienti ombrosi nella fascia delle latifoglie collinari e mediterranee. In Italia popolamenti notevoli sono quelli della Foresta Umbra nel Gargano, ma begli esemplari isolati si trovano anche in Sardegna.

Il più noto esponente delle Taxaceae è un albero alto fino a 15 m, ma talvolta anche arbusto, provvisto di chioma irregolare conica, ramificata sino dalla base. A lento accrescimento, può vivere fino a 2000 anni. La corteccia, bruno-rossastra, si screpola lasciando cicatrici rosso scure. Le foglie a forma lineare, tenere, acuminate ma non pungenti, verdi scuro brillante sopra, giallo-verdi e opache sotto, a differenza delle altre Conifere sono dotate di un breve picciolo, segno di maggiore evoluzione. I fiori maschili e femminili sono portati da individui differenti (pianta dioica): quelli maschili, globosi, sono riuniti in piccoli amenti gialli, inseriti alla base delle foglie; quelli femminili sono solitari e verdastri. Il frutto del tasso è particolare: è costituito da un nero seme ovoide, circondato da un involucro carnoso a forma di coppa, rosso a maturità, detto “arillo”.

L’arillo è l’unica parte non velenosa della pianta: è molto dolce, commestibile ed è gradito dagli uccelli che così ne favoriscono la disseminazione. Da studente, per controllare se quanto mi stavano facendo studiare era corretto, anch’io ho mangiato gli arilli, sputandone ovviamente il seme. Anni dopo, sono ancora qui, a scrivere un pezzo sul tasso, l’albero della morte.

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