Piante in viaggio

 

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ALATERNO: Darsi alla macchia

La macchia mediterranea, soprattutto a primavera, è una meraviglia di colori e di profumi: cisti, ginestre, lavande, rosmarini, timi ed elicrisi concorrono a darci quella sinfonia di sensazioni che, con la complicità del sole, ci aiutano a toglierci di dosso il grigio e l’umido dell’inverno appena trascorso.

A guardare bene, però, vi possiamo trovare anche un anonimo arbusto che non ha fiori colorati né tanto meno profumi (anzi…); sembra quasi darsi alla macchia, da quanto poco si faccia notare… È l’alaterno, il Rhamnus alaternus, il cui genere dà il nome alla famiglia delle Rhamnaceae.

L’alaterno è un arbusto in genere alto più di 1 m, con portamento spesso compatto, dalla corteccia bruno-rossastra. Tutta la pianta emana un odore poco piacevole, accentuato nelle parti legnose (da cui il nome di “legno puzzo”). Le foglie sono semplici, alterne, di consistenza coriacea, a lamina lanceolata, margine intero o appena dentato, su breve picciolo; sono verdi scure e lucide sopra e più chiare ed opache sotto. I fiori, poco appariscenti, con calice a sepali corti e verdastri e senza petali, formano infiorescenze poste all’ascella delle foglie. I frutti sono drupe rosso-brunastre, subsferiche, lucide: la loro comparsa è, direi. l’unico momento cromatico nella esistenza di questo arbusto sempreverde...

Più che della macchia, l’alaterno fa parte del corteggio floristico della lecceta, ma si trova anche comunemente nelle macchie alte e nei forteti. Il suo areale gravita sul Mediterraneo (in Liguria raggiunge il punto più settentrionale di distribuzione).

Parente della cascara sagrada e della frangola, l’alaterno ne ricalca in modo attenuato le proprietà lassative, derivanti dai frutti, raccolti in agosto-settembre, e soprattutto dalla corteccia. Il legno molto duro, di colore giallo-bruno e dal caratteristico odore sgradevole al taglio, è impiegato per lavori di tornitura o ebanisteria. Nell’industria dei colori si usava per tingere di giallo-verde i tessuti, ma anche oggi si adoperano foglie e rami freschi e frutti per l’estrazione dei pigmenti: dai primi si ottiene una tinta giallo-arancio, mentre dai frutti deriva il “verde di vescica” o “verde vegetale”.

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