La ninfea è una pianta che ispira serenità, una sensazione associata alla tranquillità delle acque in cui vegeta, che sono ferme o a lento decorso. Lo sapeva bene Claude Monet, che immortalò più volte le ninfee dei suoi giardini, di Argenteuil prima, e di Giverny poi. Nelle tenute intorno alla dimora del grande Maestro dell’Impressionismo, c’era sempre uno stagno delle ninfee.
La ninfea più comune, quella di Monet, è la Nymphaea alba, famiglia Nymphaeaceae, diffusa in larga parte dell’Europa, del Nordafrica e dell’Asia occidentale fino all’Iran. Vive in acque stagnanti oligotrofiche, ossia povere o prive di componenti nutrizionali, e a pH neutro: qualsiasi forma di eutrofizzazione o di acidificazione ne preclude lo sviluppo.
Come già affermano Teofrasto e Dioscoride, il suo nome sta per “pianta delle ninfe”, le figure della mitologia greca che si bagnavano nei laghetti in mezzo ai boschi.
La ninfea contiene molti principi attivi (gli alcaloidi ninfeina e nufarina, tannini, resine e glucosidi), alcuni dei quali tossici a dosi elevate. I suoi rizomi contengono comunque molto amido, motivo per cui un tempo si produceva, in tempi di carestia, il cosiddetto “pane di ninfea”: bolliti almeno due volte in abbondante acqua per disperderne gli alcaloidi e le altre sostanze tossiche, se non si mangiavano subito lessi, i rizomi si facevano seccare, per poi macinarli riducendoli in farina, con cui si panificava.