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La strada verde per la longevità (1)

Tema (medicina): la medicina ayurvedica (prima parte

Nella nostra mania occidentale di classificare, di sistemare, di incasellare la realtà, anche quella che non ci appartiene, abbiamo finito per considerare l’ayurveda fra le medicine non convenzionali, alla stregua della omeopatia, dei fiori di Bach, della agopuntura cinese, della riflessoterapia e così via. La ayurveda è molto di più: è innanzitutto un sistema di pensiero, che pone al centro della attenzione il benessere fisico e spirituale dell’individuo: lavora dunque altrettanto sulla prevenzione che sulla cura del corpo come dell’anima, al fine di garantire alla persona una lunga vita (“ayurveda” è parola composta da “ayur” = durata della vita o longevità e “veda” = conoscenza rivelata). Questo sistema di saperi ha avuto origine nel subcontinente indiano nella notte dei tempi: storicamente, la prima citazione della medicina ayurvedica compare in un trattato del II secolo a.C., durante il regno dell’Imperatore Kanishka, grande protettore del buddhismo, di origine battriana (Asia centrale), ma siamo convinti che già da molti secoli, forse ancora prima della invenzione della scrittura, la medicina ayurvedica fosse presente nella quotidianità dei popoli dell’India. Nella mitologia indù, come al solito molto complessa, si fa risalire addirittura a Brahma, il creatore dell’universo: fu lui a far dono del sistema ayurvedico a Daksa Prajapati, e da questi agli Asvin, e da loro ad Indra, signore degli dei Vedici e quindi ai suoi quattro discepoli, Bharadvaja, Atreya, Kasyapa e Dhanvantari.

L’ayurveda nasce dunque come una etnomedicina, e, come sanno tutti gli etnografi di questo mondo, si avvale di principi attivi provenienti dal mondo naturale. Quindi, soprattutto dalle piante (diciamo che a differenza della medicina cinese, gli animali non vengono mai utilizzati, e quindi neppure c’è spazio per certe pratiche cruente e fuorilegge).

Leggendo l’elenco delle specie botaniche usate nelle terapie ayurvediche (fra le quali, il prodotto di esportazione di maggiore successo sarebbe il massaggio ayurvedico, che comunque fa uso di essenze vegetali), mi sono reso conto che compaiono diverse piante non indigene della penisola indiana: è un chiaro segnale del fatto che i medici dell’ayurveda sono stati attenti ad inglobare le proprietà di alcune specie – per loro esotiche - nel proprio ricettario, individuandone dosi, metodi e tempi di azione per la varie patologie. Non sono indiane ad esempio l’eucalipto citrato (Corymbia citriodora, NE Australia), la mimosa pudica (Mimosa pudica, sudamericana), la noce moscata (Myristica fragrans, Indonesia), e il chiodo di garofano (Syzygium aromaticum, anch’esso Indonesia), così come non lo sono strettamente la cipolla (Allium cepa), l’aglio (Allium sativum), il ricino (Ricinus communis), l’aloe (Aloe vera), il sandalo (Santalum album), la liquirizia (Glycyrrhiza glabra), il coriandolo 
(Coriandrum sativum); ma è anche vero che molte di queste specie sono ormai entrate a far parte degli usi dei popoli indiani. Sono insomma piante che hanno viaggiato molto, e che spesso molto presto sono arrivate in quell’India che è la terra della accoglienza. (continua)

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