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Le ferite che si dimenticano

Tema (medicina): le piante vulnerarie e cicatrizzanti.

Oggi non ci facciamo più caso: antibiotici e derivati vari, tutti figli della penicillina, ci hanno tolto lo spauracchio che poteva farci una ferita che non cicatrizzasse. Quella di andare in setticemia, una patologia che ha mietuto molte vittime, prima che Alexander Fleming, nel lontano 1929, scoprisse per caso il potere battericida del Penicillium in una sua coltura dimenticata, mentre era in vacanza.

E poi oggi ci sono cerotti, garze e bende di nuova generazione che hanno il potere di velocizzare il processo di cicatrizzazione, il processo riparativo dei tessuti che – ve lo dice il botanico – esiste anche nelle piante.

E prima? Prima, quando non esistevano gli antibiotici, gli antisettici, i cicatrizzanti? Ci si rivolgeva alle piante, naturalmente. A quelle piante che si definiscono “vulnerarie”: da “vulnus” appunto, cioè “ferita”.

Gli elenchi di piante vulnerarie sono numerosi, e su Internet ne trovate in abbondanza. Tuttavia vi avverto subito che alcune specie raccomandate a questo scopo mi lasciano piuttosto perplesso, forse per una certa confusione fra una ferita, dove il medicamento entra a diretto contatto con il sangue, e quindi va in circolo, ed una abrasione, o scotattura, o contusione, o escoriazione, o irritazione cutanea. Non userei, per fare un esempio, la pomata di arnica (Arnica montana) su una ferita aperta; questa bella specie di Composita potrà invece andare benissimo su gonfiori, slogature, lividi e via dicendo. E neppure sarei propenso ad usare l’olio di iperico (Hypericum perforatum), che invece resta anche oggi il miglior rimedio contro le scottature. In altre parole: sono piante che per uso interno vanno somministrate sotto controllo medico, e posarle sul sangue di una ferita è come immetterle direttamente nell’organismo.

Non hanno viceversa alcuna controindicazione le piante dal riconosciuto potere antisettico, di cui possiamo citare ben quattro Labiate molto note: il rosmarino (Rosmarinus officinalis), il timo (Thymus vulgaris), la salvia (Salvia officinalis), la lavanda (Lavandula spp.). Sono tutte piante di facilissima reperibilità, ed è probabile che molti di noi ce le abbiano già a casa. Basta fare un panno caldo imbevuto dell’infuso di una di queste piante, ed il rischio di infezione batterica si abbassa già molto. Fra queste specie c’è chi ci mette anche il basilico (Ocimum basilicum) e la camomilla (Matricaria chamomilla), ma preferisco destinare queste specie ad altre funzioni.

Se siamo fuori casa, in giro per passeggiate in campagna o in montagna, ecco altre piante che potrebbero tornarci utili, anche a volte con la semplice applicazione diretta delle foglie sulla ferita. La prima da menzionare è la piantaggine (Plantago major), la tipica pianta dei sentieri, una cosmopolita che si trova ovunque. Poi c’è la tormentilla (Potentilla erecta), una parente della fragolina, con il fiore a quattro petali gialli. E soprattutto ci metterei la vulneraria, un nome una garanzia: si tratta della Anthyllis vulneraria, una piccola Leguminosa arbustiva a fiori gialli, piuttosto comune in luoghi aridi e pietrosi. E fra le vulnerarie c’è chi ci mette anche la bistorta (Bistorta officinalis), una Polygonacea abbondante nei pascoli alpini, e la consolida (Symphytum officinale), una Boraginacea comune lungo i fossi umidi.

Per passare alle specie del resto del mondo, che per un redattore di Piante in Viaggio è un dovere, non possiamo non citare il gel di aloe (Aloe vera, coltivata ai Tropici), i preparati a base di centella (Centella asiatica), di origine indocinese, e di idraste (Hydrastis canadensis), che come si capisce viene dal Nordamerica.

Proprietà vulnerarie vanta anche il fico d’India (Opuntia ficus-indica): nel Paese messicano dalle sue pale si estrae il gel a questo scopo. E visto che siamo nelle Americhe, vorrei concludere con un tipo di pepe, il Piper aduncum, che cresce spontaneo nelle foreste tropicali fra Yucatan, Centramerica, Caraibi e Guyane: il suo nome, che è “matico”, deriva in realtà dal cognome di un soldato spagnolo ferito in battaglia. Fu curato dagli indigeni locali proprio grazie a questa pianta, che da allora fu nota a tutti come erba delle “ferite”.

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