L’erica arborea, che (ogni tanto succede…) in latino si chiama nella stessa maniera, e cioè Erica arborea, ha una straordinaria capacità di resistenza agli incendi; tutta la parte aerea viene bruciata dal fuoco, ma in genere la parte sotterranea resiste, e produce nuovi getti basali, che prenderanno presto il posto della chioma distrutta. L’assorbimento massiccio del silicio dal terreno, impregnandone i tessuti, rende infatti il ceppo ignifugo. Quando perciò un botanico si trova davanti ad un ericeto ad Erica arborea, ossia ad una formazione fatta quasi esclusivamente da questo arbusto, non ha bisogno di fare troppe indagini storiche nè analisi specifiche: può facilmente immaginare che la zona sia stata ripetutamente incendiata, ed il suolo progressivamente inacidito. Gli indizi sono chiari, e preoccupanti.
Nei luoghi in cui il suolo è stato messo a nudo dal passaggio del fuoco, per fortuna, il nostro arbusto svolge l’importante funzione di invadere, o meglio di reinvadere, i pascoli non naturali per preparare il ritorno del bosco (specialmente in zone in pendenza, e quindi a rischio di dissesto idrogeologico, tutto ciò non è poco...).
Oltre alla innegabile utilità ecologica di cui sopra, l’erica arborea ha una sua importanza nell’artigianato: dal suo ceppo basale, il cosiddetto “ciocco”, si ricavano le migliori pipe, dette appunto di “radica”. D’altra parte, il suo legno difficilmente brucia...