Un tempo, l’agnocasto caratterizzava le sponde e i greti dei corsi d’acqua presso la foce, in tutta l’area mediterranea, insieme a oleandri e tamerici; il suo habitat coincideva però spesso con le aree oggi più urbanizzate, per cui in alcune regioni questa Verbenacea (che però altri Autori inseriscono fra le Lamiaceae sottofamiglia Viticoideae) si è fatta piuttosto rara.
È pianta medicinale, ricca di principi attivi, fra cui glucosidi (vitexina), diterpeni e triterpeni, flavonoidi, alcaloidi; ha essenzialmente proprietà sedative, antispastiche, aperitive e diuretiche; la medicina omeopatica ne evidenzia l’influenza sulla sfera sessuale, raccomandandola nel trattamento dei problemi della menopausa, dell’allattamento e della sindrome premestruale.
Il nome di “agno-casto” ha una sua storia, legata alle supposte virtù antiafrodisiache di questa specie. I Greci avevano notato la sua influenza moderatrice sugli impulsi sessuali, per cui l’avevano chiamata “a-gonos”, “non-generante”. Un errore comprensibile dei Latini, da Plinio in poi, ne aveva trasformato il nome in “agnus”, che sta per “agnello”. Alberto Magno, nel Medioevo, rimise le cose a posto, e aggiunse “casto”, facendo di questa pianta il simbolo della purezza e appunto della castità.