Nell’archivio delle mie schede botaniche, penso che, nel dossier sulla cannuccia, la voce “coltivazione” resterà vuota... non credo che qualcuno si sia mai preso la briga di coltivare (di raccoglierla sì, e senza troppa fatica) la cannuccia, quella Phragmites australis abbondante in tutti i terreni perennemente allagati, stagni, paludi e fiumi a lento corso un po’ di tutti continenti.
Per spiegare l’uso della cannuccia ci rifacciamo al nome del genere, che deriva dal greco “phragma”, col significato di divisione, separazione: lo ritroviamo anche nella parola “diaframma”, e allude al fatto che la cannuccia si presta a fare recinti e steccati, unendo diversi fusti insieme (è la tecnica del “canniccio”, che un tempo si usava anche nel realizzare le pareti divisorie all’interno delle case). Con i suoi fusti duri e rigidi che persistono in inverno, e le sue foglie coriacee, la cannuccia è dunque il materiale ideale per coperture di tetti, stuoie, graticciate, ceste.
Il suo rizoma, che contiene sostanze amare, sali di potassio e resine, ha proprietà medicinali: funziona da diuretico e sudorifero, febbrifugo e tossifugo. Non dimentichiamo infine il suo valore ecologico e paesaggistico: i fragmiteti offrono rifugio a numerosi uccelli acquatici, ed agiscono sulle acque inquinate assorbendone le impurità.