Il gelso nero, cioè il Morus nigra, a differenza del gelso bianco (il Morus alba, cinese) è ospite in Europa da molto tempo: originario dell’Asia occidentale, per l’esattezza dalla Persia, è coltivato da antica data nei paesi caldi e temperati dell’Europa centro-meridionale. Presso le prime civiltà del Mediterraneo, il motivo dell’interesse colturale verso questa specie arborea non era legato alla seta, né poteva esserlo, visto che fino a tutto il Medioevo non si conosceva il processo di produzione della pregiata stoffa orientale. Lo era invece per i legno e per il frutto: il legno, duro e resistente, viene tuttora impiegato per la costruzione di attrezzi quali secchi, barili, doghe per botti, oltre che per piccoli lavori da tornio e intarsio. I frutti commestibili del gelso nero erano un tempo usati per produrre vino, e sono ancora oggi consumati sia freschi che per la produzione di marmellate e gelatine. Se vi trovate in Sicilia, patria delle granite, non esitate a provare quella appunto di gelso nero.
La coltivazione di entrambi i gelsi ebbe un notevole impulso quando in Europa si sviluppò l’allevamento dei bachi da seta, il cui alimento è rappresentato dalle foglie; il gelso nero era meno appetito dai bachi, ma anche più resistente alle malattie. È ancora comune in tutto il territorio, ai margini delle strade e nei campi.
Ultima annotazione: al gelso nero sono state spesso attribuite proprietà magiche. A lungo è valsa la credenza che, se si portavano sul corpo frutti acerbi, si arrestavano le emorragie dalla bocca, dalle narici, dalle emorroidi e da ferite ancora aperte. Plinio è stato più specifico: “un ramo con i frutti incipienti, colto con la luna piena, a condizione che non abbia toccato terra, e legato come amuleto al braccio delle donne, è un rimedio specifico contro il mestruo sovrabbondante”.