Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Nella terra di re Leopoldo

Cucine d'Europa: la cucina belga

La cucina belga ha un’ottima reputazione nel campo dei prodotti di mare: variamente elaborati, i pesci, i molluschi (primi fra tutti le cozze) e i crostacei pescati nel mare del Nord si trovano quasi quotidianamente sulle tavole dei Belgi. E si difende molto bene in fatto di carni, spaziando fra quelle di manzo, di maiale, di coniglio. Eppure si è imposta nel mondo per due prodotti di tipo vegetale: le patatine fritte e i cavolini di Bruxelles. E non dimentichiamoci la birra.

Le patate fritte sono un piatto di “elaborazione” belga, ma non sono belghe negli ingredienti: il Solanum tuberosum ci giunge dalla Ande, mentre l’olio usato per friggerle può variare da quello di oliva, mediterraneo, a quello di arachidi o di girasole (specie americane entrambe). Ma sono state inventate qui, e i Belgi ne sono fieri consumatori: oltre ad accompagnare pressoché tutte le pietanze (vedi le moule frites, le cozze con patatine), ad ogni angolo di strada trovate chioschi che ve le propongono (“frituur” nelle Fiandre e “friterie” in Vallonia), e a Bruges esiste persino il museo delle patate fritte, il Frietmuseum, molto visitato.

Origine europea ha invece il cavolo, e di conseguenza i cavolini di Bruxelles, una delle sue infinite varietà colturali, indicati come Brassica oleracea var. gemmifera. Preparati in modi diversi, sono il contorno più diffuso ai piatti unici che caratterizzano la cucina belga.

Nella terra di re Leopoldo, infatti, come in molti altri Paesi nordici, il pasto principale è quello serale, dove il piatto unico di carne o di pesce è preceduto eventualmente da un antipasto e seguito da un dolce. Una alternativa diffusa è data da minestre calde, passati di verdure e zuppe cremose: manco a dirlo, la più apprezzata è quella di cavolo, con panna e prosciutto crudo a dadini, ma va forte anche la crema di piselli (Pisum sativum), quella di porri (Allium porrum) e quella di cipolle. Tra le verdure, oltre ai già citati cavolini di Bruxelles, non si può dimenticare l’endivia (Cichorium endivia), in genere gratinata; e non a caso da noi quella verdura, fatta crescere al buio per mantenerne un colore bianco e non verde, viene chiamata spesso “la belga”. Altra variante al piatto unico sono le torte salate, con spinaci o cavolini di Bruxelles. Negli antipasti compaiono spesso gli asparagi (Asparagus officinalis), cucinati alla fiamminga, con burro fuso e uova.

Nelle preparazioni delle carni e del pesce, spesso si preferisce lo scalogno (Allium ascalonicum), dal gusto più delicato rispetto alla cipolla: succede così nei jefke, filetti di aringa conditi con olio, aceto, limone, maionese e accompagnati da scalogno e fagioli; dove i sapori sono invece più decisi, come nella carbonade flamande, stufato di manzo annaffiato di birra, e nelle choeles, frattaglie di bue (soprattutto pancreas) rosolate nello strutto e stemperate sempre nella birra, o nei vari piatti a base di maiale, va meglio la cipolla. Sono molti i secondi che vogliono salse di accompagnamento: salsa verde (a base di prezzemolo) oppure senape, la “moutarde” dei Francesi.

Cito solo di passaggio il waterzooi, la tipica zuppa di pesce di mare e di fiume, originaria di Gand, e la sua variante più rara kippenwaterzooi, zuppa di pollo: entrambe hanno diverse verdure fra gli ingredienti, ma il vero accompagnamento è il pane (che poi è la “baguette” della vicina Francia), indispensabile per raccogliere alla fine il delizioso brodo. Prima di passare ai dolci, permettetemi, da ligure, un doveroso omaggio al coniglio: qui le ricette sono almeno due, entrambe imperdibili, il coniglio alla birra e il coniglio alle prugne (Prunus domestica).

Parlare di dolci in Belgio significa parlare soprattutto di due cose: cioccolato e wafel. La tradizione cioccolatiera belga è diventata un’arte: basta passare davanti ad una qualsiasi vetrina di dolciumi per convincersene, e per capire che, ormai, la strada che ha fatto il Theobroma cacao dai tempi di Montezuma è davvero tanta. Si attribuisce peraltro al Belgio il merito di aver inventato proprio la pralina, il cioccolatino ripieno dalle mille varianti.

Anche i wafel (in fiammingo) o le gauffres (in vallone) hanno in teoria mille varianti: sia che le consumiamo a fine pasto sia che le assaporiamo come cibo di strada, quelle morbide frittelle a forma di tavoletta a nido d’ape possono essere guarnite da qualsiasi cosa, a partire, da panna, cioccolato, marmellata, miele, gelato alla vaniglia, semplice zucchero. Direi che sono la risposta belga alle francesi crêpes, e anch’esse hanno conquistato il mondo.

E poi ci sono i dolci preparati per le ricorrenze e per gli eventi speciali. Si festeggia un nuovo nato con il suikerbrood, il “pan di zucchero”, un dolce importato dalla Frisia (Olanda), aromatizzato con cannella (Cinnamomum spp.) o zenzero (Zingiber officinale). Si celebra San Nicola con gli speculoos, biscotti secchi a forma di “ometto”, anch’essi alla cannella, e si esagera a Capodanno e a Carnevale con le oliebollen, dette anche smoutebollen, letteralmente “pallotte di lardo”, frittelle rotonde dove nel morbido impasto si aggiungono ribes, uvetta, scorze d’arancia candite e dadini di mela. Per gli altri giorni, in alternativa alle gauffres, ci sono le torte di mele e di pere, oppure c’è il gracht brood, dolce di forma allungata lievitato in forno e cosparso di granella di zucchero caramellato: è una delle specialità dolciarie più antiche del Belgio.

E infine la birra: del mio primo viaggio in Belgio ricorderò sempre le birrerie di Bruxelles sulla Grand Place e di Gand lungo il Graslei; saranno anche stati luoghi un po’ per turisti, ma mi sono serviti per capire le incredibili distanze che corrono fra una birra alla ciliegia, chiara, leggera, profumata, frizzante, e una birra dei frati trappisti, scura, pastosa, quasi amara e quasi per nulla frizzante. E sto citando due birre entrambe assolutamente belghe, per capire la impressionante varietà che questa piccola nazione europea vi offre in fatto di birra. Ci credete, se dico che in certi locali ci si mette più tempo a leggere il menu delle birre che a bersene un boccale?

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