Piante in viaggio

 

 Bandiere nel piatto

 

Il primato delle ricette tipiche (2)

Cucine del mondo: la cucina peruviana (seconda parte)

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È impossibile dunque descrivere la grande varietà della cucina peruviana, ma possiamo citare almeno alcune fra le ricette e le preparazioni più significative. Partiamo appunto dal ceviche, il piatto nazionale del Paese, la cui paternità è contesa però dai Messicani; si prendono pesci e frutti di mare e si fanno marinare usando il limone o meglio ancora il lime (Citrus aurantiifolia), con aggiunta di coriandolo e peperoncino. In Peru esistono locali specializzati, le cevicherie, che ti propongono solo quello. L’origine del ceviche, o sebiche, è controversa, ma si tratta sicuramente di un piatto molto antico, risalente forse all’epoca Moche (I-VI secolo d.C.).

Altro piatto tradizionale è la carapulcra, che sta per “sugo”, un modo per cucinare la carne in intingolo, con cipolla, aglio e ajì. Oggi la carne è soprattutto di maiale, oppure di pollo, ma in origine era soprattutto di lama o di alpaca. La carne secca e salata di lama si mangia ancora, e si mangiano le patate seccate e congelate al freddo asciutto dei rilievi andini: sono di colore nero, si chiamano chuños, e possono durare anni. Le moraya sono patate che subiscono lo stesso trattamento, dopo essere state tagliate a fette, e sono di color bianco.

La ricetta di patate più famosa è quella delle papas a la huancaina, una ricetta a noi vagamente familiare: sulle patate bollite si versa una salsa calda ottenuta frullando peperoncino ajì giallo (oppure rocoto giallo), formaggio fresco, latte e olio; talvolta si aggiungono cipolle, aglio e succo di lime.

Le zuppe, comprese quelle di patate, di patate dolci, e di fagioli vari, sono comunissime sulle tavole peruviane: fra di esse segnaliamo le “sopas de tarwi”, fatte con il lupino delle Ande. Il mais si usa ovviamente per farine e impasti vari, come pannocchia da sgranocchiare, come contorno di semi lessati, e per la chicha; ma è curioso che i grani di mais tostati e salati, che costituiscono il classico antipasto dei Peruviani da tempo immemorabile (la loro “cancha”), li ritroviamo oggi, pari pari, fra gli snacks che ci propongono i locali da aperitivo dell’Occidente.

Dalla zona centrale del Peru, ma in seguito diffusasi anche nei dintorni, ci giunge la ricetta della pachamanca; più che un piatto, è in realtà un modo di cucinare, che ho trovato anche altrove (in Cile meridionale, ad esempio, si prepara in modo analogo il “curanto”). “Pachamanca” significa “pentola di terra”: in una sorta di rito comunitario, si fa un buco profondo per terra, ci si buttano pietre roventi prese dal falò, la carne, le patate, le patate dolci e le spezie fra cui l’immancabile peperoncino, e si lascia a cucinare almeno due ore, se non di più. Vi garantisco che il cibo così cotto non perde nulla del suo sapore e neppure del suo potere calorico.

Per digerire questi piatti non certo leggeri, niente di meglio che una buona sorsata di chicha; la più apprezzata è la chicha morada, servita fredda, ottenuta dal mais della varietà morado, a cui si aggiunge ananas, lime e zucchero di canna.

Il liquore indiscutibilmente più peruviano è però il pisco, un distillato di uva (Vitis vinifera) che risale ai tempi della dominazione spagnola: i “piskos” erano i recipienti di terracotta allora in uso presso le popolazioni locali, dove dunque per la prima volta i Conquistadores conservarono la preziosa bevanda alcolica; così il nome del contenitore passò a quella dal contenuto. Ci sono almeno quattro tipi diversi di pisco prodotti oggi in Peru, ma il più famoso è forse il quinto, quel pisco sour che non sfigura affatto fra i più importanti coktail del mondo: pisco, succo di lime, sciroppo di zucchero, ghiaccio in cubetti, una chiara d’uovo e due gocce di angostura ne fanno la ricetta originale.

 

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