La più nota etnografa della Terra del Fuoco, Natalie Goodall, riporta la credenza, citata su tutte le guide turistiche, che colui che mangia i frutti del calafate, prima o poi, tornerà a rivedere quei posti. Lo dico subito: non solo ne ho assaggiato qualche bacca, ma ci ho pranzato. Poco distante dalla piccola pista dell’aeroporto di Ushuaia, su una colllina spazzata dal vento, a ridosso del centro abitato, i cespugli del Berberis microphylla, noto appunto come calafate, erano carichi di frutti. Dopo che sono passato io, ce n’erano un po’ meno, e avreste visto un turista col suo zainetto e la sua macchina fotografica andarsene soddisfatto con la bocca un poco blu, come quando si mangiano mirtilli.
Non si può dire che questa specie abbia viaggiato molto, ed a parte qualche produzione di bonsai, ad esempio con la varietà “nana”, la floricoltura si è interessata poco del calafate, una specie adatta a climi decisamente ostici. Ma hanno viaggiato molto quelli che lo hanno visto ed assaggiato in fondo al mondo, e che spesso in fondo al mondo hanno tanta voglia di tornarci.