Piante in viaggio

 

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CALAFATE: La voglia di ritornarci

La più nota etnografa della Terra del Fuoco, Natalie Goodall, riporta la credenza, citata su tutte le guide turistiche, che colui che mangia i frutti del calafate, prima o poi, tornerà a rivedere quei posti. Lo dico subito: non solo ne ho assaggiato qualche bacca, ma ci ho pranzato. Poco distante dalla piccola pista dell’aeroporto di Ushuaia, su una colllina spazzata dal vento, a ridosso del centro abitato, i cespugli del Berberis microphylla, noto appunto come calafate, erano carichi di frutti. Dopo che sono passato io, ce n’erano un po’ meno, e avreste visto un turista col suo zainetto e la sua macchina fotografica andarsene soddisfatto con la bocca un poco blu, come quando si mangiano mirtilli.

Il calafate è un parente del crespino, e come lui è un arbusto, dai molti rami un po’arcuati, provvisti di spine tripartite. Le foglie del calafate, noto anche come Berberis buxifolia, richiamano infatti quelle del bosso, il Buxus sempervirens: sono ovali, a margine intero; come suggerisce il termine “microphylla”, sono piccole: non è una novità per quelle terre, dove le piante hanno bisogno di offrire minore resistenza ai forti venti (anche il faggio meridionale, Fagus antarctica, si distingue dal nostro faggio Fagus sylvatica per la ridotta superficie fogliare). All’inizio dell’estate, e cioè a dicembre, il calafate si riempie di piccoli fiori gialli, che presto diventano bacche rotonde, di un bel blu scuro, quasi nero. Il loro gusto è acidulo e gradevole; come molti frutti silvestri, ha proprietà astringenti. Dalla radice si estrae la berberina, indicata come antibatterica.

Non si può dire che questa specie abbia viaggiato molto, ed a parte qualche produzione di bonsai, ad esempio con la varietà “nana”, la floricoltura si è interessata poco del calafate, una specie adatta a climi decisamente ostici. Ma hanno viaggiato molto quelli che lo hanno visto ed assaggiato in fondo al mondo, e che spesso in fondo al mondo hanno tanta voglia di tornarci.

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